Sull'incontro
di mercoledì 13 marzo con Claudio Spadoni che ha presentato la mostra
attualmente in esposizione al MAR di Ravenna “Borderline. Artisti tra normalità
e follia.”
Credo
che una delle sfide più simpaticamente folli che la mostra propone, come ha
evidenziato Claudio Spadoni nel corso della sua presentazione, consista nel
riconoscere quali sono le opere degli alienati
che all'interno di strutture chiuse hanno prodotto arte - arte
primitiva, arte brut nelle definizioni
di Klee e di Dubuffet -, e quali sono le opere dei maestri, le opere degli
artisti “veri” cioè coscienti di esserlo, capaci di operare con l'ausilio di
tecniche apprese dopo lunghi e accurati studi.
Scartando
la possibilità di confondere il quadro
di un alienato con un dipinto di Bosch, alcune opere di artisti, come ha
mostrato Claudio Spadoni nella
presentazione della mostra da lui curata insieme allo psichiatra Giorgio Bedoni, pur non essendo replicabili
sono però confondibili. Omettendo il nome dell'artista di fama il quadro da lui
prodotto non è più immediatamente distinguibile da quello di un folle
creativo.
Il
nome Borderline indica il confine valicabile e spesso valicato da chi opera al limite del proprio ardore
creativo con l'occhio febbrile di chi cerca un codice di segni col quale
costruirsi uno spazio concluso di personali eresie.
È
in questo senso che si
costituiscono separazioni nette tra chi
sta nella normalità e chi invece opera nella follia creativa in quanto tutti
gli artisti non “folli” operano alla ricerca di un segno che li
contraddistingue e che diventa sempre piattaforma di autocritica.
Al
contrario, i folli creativi “trovano senza cercare” i loro segni inconsapevoli
perché non hanno bisogno di definire la
loro opera in una struttura che allarghi l'orizzonte del loro vivere immediato,
vivono nella pura istintività in una frenesia espressiva senza filtri, non hanno
necessità di costruire segni eversivi in quanto loro stessi incarnano l'eresia,
al contrario di chi non la incarna ma la costruisce.
Tornando
alle opere, e ammettendo pure che la riconoscibilità sia incerta, rimane il
fatto sottostante ad ogni opera d'arte e che non è replicabile in nessun modo,
e cioè che la coscienza dell'atto
creativo appartiene alla ragione. È sempre Paul Klee e Jean Dubuffet, due
grandi artisti, che in fondo definiscono cosa è arte e cosa non lo è, e
determinano la nascita di due correnti artistiche nelle quali confluiscono
quadri di bambini, di alienati, di inconsapevoli artisti individuando in essi
una sorgente primaria di creatività.
Pare
allora che sia necessario che qualcuno cosciente di se stesso come artista
definisca il confine tra arte e non arte, a meno che non sia la politica a
farlo, e tutto ciò in ogni caso non può
essere risolto da chi ha il lume della ragione affievolito o addirittura
spento. La pura fantasia dunque senza la chiarezza della ragione si condanna a
una pura illegibilità brada e senza orientamento.
di Ivano Nanni
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