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lunedì 18 marzo 2013

"Confini mobili" di IVANO NANNI


Sull'incontro di mercoledì 13 marzo con Claudio Spadoni che ha presentato la mostra attualmente in esposizione al MAR di Ravenna “Borderline. Artisti tra normalità e follia.”
           
Credo che una delle sfide più simpaticamente folli che la mostra propone, come ha evidenziato Claudio Spadoni nel corso della sua presentazione, consista nel riconoscere quali sono le opere degli alienati  che all'interno di strutture chiuse hanno prodotto arte - arte primitiva, arte brut  nelle definizioni di Klee e di Dubuffet -, e quali sono le opere dei maestri, le opere degli artisti “veri” cioè coscienti di esserlo, capaci di operare con l'ausilio di tecniche apprese dopo lunghi e accurati studi.  
Scartando la possibilità di  confondere il quadro di un alienato con un dipinto di Bosch, alcune opere di artisti, come ha mostrato Claudio Spadoni nella  presentazione della mostra da lui curata insieme allo psichiatra  Giorgio Bedoni, pur non essendo replicabili sono però confondibili. Omettendo il nome dell'artista di fama il quadro da lui prodotto non è più immediatamente distinguibile da quello di un folle creativo. 
Il nome Borderline indica il confine valicabile e spesso valicato  da chi opera al limite del proprio ardore creativo con l'occhio febbrile di chi cerca un codice di segni col quale costruirsi uno spazio concluso di personali eresie.
È in questo senso che  si costituiscono  separazioni nette tra chi sta nella normalità e chi invece opera nella follia creativa in quanto tutti gli artisti non “folli” operano alla ricerca di un segno che li contraddistingue e che diventa sempre piattaforma di autocritica.
Al contrario, i folli creativi “trovano senza cercare” i loro segni inconsapevoli perché non  hanno bisogno di definire la loro opera in una struttura che allarghi l'orizzonte del loro vivere immediato, vivono nella pura istintività in una frenesia espressiva senza filtri, non hanno necessità di costruire segni eversivi in quanto loro stessi incarnano l'eresia, al contrario di chi non la incarna ma la costruisce.
Tornando alle opere, e ammettendo pure che la riconoscibilità sia incerta, rimane il fatto sottostante ad ogni opera d'arte e che non è replicabile in nessun modo, e cioè  che la coscienza dell'atto creativo appartiene alla ragione. È sempre Paul Klee e Jean Dubuffet, due grandi artisti, che in fondo definiscono cosa è arte e cosa non lo è, e determinano la nascita di due correnti artistiche nelle quali confluiscono quadri di bambini, di alienati, di inconsapevoli artisti individuando in essi una sorgente primaria di creatività.
Pare allora che sia necessario che qualcuno cosciente di se stesso come artista definisca il confine tra arte e non arte, a meno che non sia la politica a farlo, e tutto ciò in ogni caso  non può essere risolto da chi ha il lume della ragione affievolito o addirittura spento. La pura fantasia dunque senza la chiarezza della ragione si condanna a una pura illegibilità brada e senza orientamento.
di Ivano Nanni

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