Sull'incontro
di mercoledì 8 maggio con la scrittrice Francesca Melandri che ha presentato
il suo ultimo romanzo “Più alto del mare” edito da Rizzoli.
Paolo è un professore di filosofia in
pensione che ha un figlio in carcere per terrorismo e che vede pochissimo e
Luisa è la moglie contadina ingenua e impaurita di un marito violento rinchiuso
per omicidio. Siamo su un'isola dove la bellezza selvaggia del luogo si innesta
nella penombra crudele del carcere. Gli anni sono quelli bui del terrorismo.
Anni difficili gli ultimi dei settanta complicati da urgenze sociali che sono
l'eredità di altre motivate turbolenze. Va detto: sono anni nei quali la pietà
fu bandita dalla politica nella quale fremevano sentimenti rivoluzionari che ad
alcuni sembravano possibili, e che tuttavia furono inquinati da parole d'ordine
estreme e alla fine settarie e individualistiche, parole e fatti che tanto
hanno compromesso ciò che di buono c'era nel radicalismo di sinistra. Tuttavia
è impossibile non provare un sentimento di orrore per quello che si è prodotto
in quegl'anni.
I protagonisti di questo romanzo hanno vite
complicate da vicende indotte dai loro
congiunti.
La società prova commozione e pena per le
vittime e per i parenti delle vittime ma non per i carnefici e nemmeno per i
congiunti dei carnefici. Esclusi dal sentimento più umano, quello della
compassione, essi si trovano a combattere una battaglia solitaria contro un
giudizio della società che non lascia scampo.
I personaggi cercano una via d'uscita per se
stessi e forse ambiscono al perdono di
una società che li vuole silenti pur non avendo commesso nulla, ma per il fatto
stesso di non aver capito o di aver troppo tollerato i loro congiunti, gli
adorati mostri, quelli che vivono nella nebbia dell'oblio condannati dal mondo
al silenzio perenne, essi si trovano nella triste condizione di vivere
l'indicibilità della loro sofferenza.
Tuttavia per Paolo e Luisa, complice una
notte di burrasca passata sull'isola, appare concreta la possibilità di
emendare il senso di colpa col quale flagellano la loro vita.
Un terzo personaggio, Nitti Francesco la
guardia carceraria, vive un'esclusione civile simile a quella di Paolo e Luisa.
Anche lui vive con pena l'impossibilità di confidarsi appieno con la moglie
circa il suo lavoro e prova tormento per il suo essere carcerato con i
carcerati.
Paolo e Luisa intravedono perciò la
possibilità di frantumare la loro angoscia attraverso la condivisione di un
passaggio doloroso che non è esclusivo ma che appartiene anche ad altre persone
che vivono un dolore simile.
Il carcere è un'isola nell'isola ed è l'altro
protagonista del romanzo in quanto chiave di volta del cambiamento dei
personaggi.
Che differenza tra la bellezza selvaggia
dell'isola con gli umori grevi e le folli ossessioni del carcere. Eppure in
quel luogo di pena c'è ancora spazio per una rivelazione. Quella che appare ai
protagonisti come una didascalia alla propria esistenza, è un risvolto amaro e
nello stesso tempo ordinario, fatto di piccole cose di tutti i giorni che
prendono il sopravvento sulle domande esistenziali e diventano racconto che
redime, e sono proprio queste cose l'insieme della vita vera.
di Ivano Nanni
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