Lo scrittore Giuseppe Furno è stato ospite di Caffè Letterario lunedì 15 aprile, quando ha presentato il suo romanzo storico "Vetro", edito da Longanesi.
I treni preferiscono le pianure. Il treno regionale è
rimasto indeciso fra colli e pianura sino a Castèl Bolognese. Poi ha scelto di
seguire la direzione dei fiumi e dei canali, nell'orizzontalità morbida e
rassicurante che s'estende verso oriente, Comacchio e il mare. "Una buona
giornata a Lei", m'ha detto il controllore con musicalità calda e
romagnola. Gli ho mostrato il biglietto. Ha sorriso, m'ha detto grazie.
"Prego", e l'avrei abbracciato per tanta cortesia spontanea. Il treno
ha continuato la corsa orientale, fra terre fertili, cascine, borghi,
allevamenti piccoli e piccole industrie. Massimo m'aspettava in stazione, a
Lugo. M'ha riconosciuto. Ci siamo stretti la mano. Anche la sua cordialità è
stata benefica. Ha una libreria. La manda avanti con dedizione, come un pievano
con la sua pieve. L'assonanza mi fa scivolare orizzontalmente su Piovene e il
suo Viaggio in Italia. "Gli
abitanti, - scrive - a Forlì come a Ravenna, si compiacciono di romanzarsi, e
di presentare se stessi, per amore del romanzesco, in tradizioni e sentimenti
tipici della loro terra..." Scrive ancora: "Basta perciò girare qua e
là, a caso, per fare una raccolta di usanze strane e di esseri singolari."
Non potrebbe essere diversamente. Perché qui in Romagna, non
ci sono mezze misure, non si cerca l'equilibrio. Qui la vita deve graffiare,
lasciare un segno, essere un romanzo. Di esempi ce ne sono: romanzo, anzi mito,
è stata la vita breve di Francesco Baracca, asso dell'aria nel quindicidiciotto, nato a Lugo e
abbattuto sul Montello. Il suo monumento è in Piazza Baracca, per l'appunto:
un'ala gigantesca, di marmo bianco, rastremata verso il cielo, e sotto, proprio
accanto, su un piedistallo, la statua in bronzo del pilota, ben più piccola
dell'ala. Colpisce l'umanità semplice di quella statua, senza traccia della
muscolosità tipica del ventennio. Francesco, con indosso una tuta da volo
troppo larga, il mezzo casco che non lo può salvare, se ne sta sugli attenti e
sembra ascoltare la lavata di capo d'un superiore. O forse sta semplicemente
ascoltando Iddio. Massimo mi spiega che il monumento, secondo le indicazioni
dello scultore Domenico Rambelli, altro figlio di questa terra, sarebbe dovuto
sorgere nella campagna di Lugo, ma la famiglia Baracca lo ha voluto lì, in
pieno centro cittadino, a due passi dalla casa natale. Scelta affettivamente
comprensibile, artisticamente discutibile. Perché è nell'orizzontalità uniforme
della pianura, che l'ala bianca avrebbe bucato il cielo e invece lì, fra la
verticalità di case, chiese, torri e campanili, l'effetto si spegne, si
mortifica.
Ed è proprio il rapporto fra verticalità e orizzontalità che
m'interessa, perché in questo c'è la chiave per capire quel che scrive Piovene:
immagino Baracca, in una limpida giornata d'inverno, imbacuccato nella sua tuta
umile e larga, ai comandi del biplano. Lo immagino volare rasoterra, come una
rondine, sulla sua terra tutta orizzontale, facendo il pelo agli alberi, ai
frutteti, alle vigne di Trebbiano, ai campi di grano, spaventando polli e
vacche al pascolo, scatenando una miriade di saluti e grida di stupore.
All'improvviso, mano sulla cloche, via in verticale, sino a quando il motore
spinge, l'elica riesce ad avvitarsi nel cielo freddo contro ogni peso e
gravità. E giù di fianco, a picchiare, ad abbassarsi fino a falciare l'erba e
sentire il profumo vivido dei campi. Qua si vive per bucare la nebbia, per dare
verticalità e brivido alla blanda e rassicurante pianura.
Patrizia, Claudio, Massimo, Marcello, Ivano, Mimmo, le
amiche e gli amici tutti del Caffè letterario di Lugo li ho incontrati la sera.
Abbiamo parlato di libri. Di romanzi. Serata speciale. Nella sala grande
dell'Ala d'Oro, albergo settecentesco innaffiato d'amore e letteratura, con una
grossa moto piazzata nella hall, dove proprio non te l'aspetti. Due ore tutti
assieme. Altre due in cinque o sei, a tirar tardi, dove ai romanzi, si sono
unite la pittura, la cucina, la fotografia, Venezia e l'Islam. Ed è nelle
straordinarie foto aeree di Lugo appese ai muri, che m'è tornata in mente la
questione della verticalità, dei treni, di Piovene, di Baracca e tutto il
resto. Bisogna vederle per capire, quelle foto. Par di guardare il mondo al
microscopio, d'afferrare in un sol colpo l'uno e poi il molteplice. Le avrebbe
potute scattare Baracca dal suo biplano quelle foto, dando verticalità alla sua
pianura. La mano dell'artista le ha rielaborate. In quelle immagini c'è tutta
la questione, il senso perfetto del volo, della vita, di Lugo, dove s'arriva in
treno, percorrendo la rassicurante orizzontalità della pianura, ma poi si
capisce che si vive in un brivido verticale, fatto di sogni, speranze, fuochi
d'amore, libri, canzoni, pittura, poesia. Tutta pura orizzontalità verticale.
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