Sull'incontro di mercoledì 12 giugno
con lo scrittore Ugo Cornia che ha presentato il suo libro “Scritti di impegno
incivile” edito da Quodlibet.
Allora è come fare una passeggiata in
città, nella nostra città dove siamo nati, dove tutto ci sembra uguale e non
notiamo più niente a meno che non ci venga addosso o non vada addosso a qualcun
altro. Eppure se solo si passeggiasse senza lo sguardo fermo, infilzato nel
vuoto, con le pupille secche come quelle dei pesci sui banconi del mercato, ci
verrebbe da dire che è ancora possibile camminare e notare quelle cose che non
si sono mai viste, come mi capita sempre più spesso tanto che a volte mi chiedo
se questa città dove sono nato sia davvero quella in cui vivo.
Non so se
qualcuno ricorda la poesia “Viazé” di Raffaello Baldini, dove lui dice che non
ha desiderio di viaggiare, che per lui entrare nella valle del Marecchia (e chissà
quante volte c'è entrato) è un viaggio sempre nuovo, e a pensarci bene si rimane
prima sbalorditi della verità di quelle parole e poi rileggendole le senti vibrare nel corpo tanto sono vere, e
facendo un salto logico si può anche capire cos'è l'esotico nostrano e come
abbiamo vicino le cose che non conosciamo, quelle cose misteriose che ci
affascinano e che spesso cerchiamo fuori noi, nei viaggi all'estero o nella
finzione cinematografica. E perciò osservare sempre meglio, così come parlare
del più e del meno, è più che altro effimera propensione alla celebrazione di
eventi minimi che è quanto abbiamo a disposizione e di cui ci nutriamo, in
quanto siamo fatti della stessa sostanza del minimo e parlando di queste
sequenze minime finiamo inevitabilmente per parlare di noi, specie senza
intenzione, che è la cosa migliore; perciò
ho l'impressione che anche nelle letture di Ugo Cornia quel parlare fitto di
eventi piccoli sia come una specie di registrazione del nulla che sta alla base
del nostro esistere come apparenza e, quei fatti piccolo- grandi descritti
minuziosamente dicono molto di più di noi e su di noi che qualunque filosofia e
sociologia accademica.
Osservare e descrivere con lo stupore
di chi non ha mai visto quello che ha sempre avuto sotto gli occhi è un salto
nel vuoto, in una specie di nazione senza confini dove il detto e lo scritto si
confondono in una pigra leggerezza, erodono le differenze e presuppongono
l'avventura di un pensiero nomade che si sposta a piedi con la propensione a
perdersi perfino nella camera da pranzo.
“Tutto
ciò che si scrive è già polvere nel momento stesso in cui viene scritto, ed è
giusto che vada disperso con le altre polveri e ceneri del mondo. Scrivere è un
modo di consumare il tempo, rendendogli l'omaggio che gli è dovuto: lui dà e
toglie, e quello che dà è solo quello che toglie, così la sua somma è sempre lo
zero, l'insostanziale. Noi chiediamo di poter celebrare questo insostanziale, e
il vuoto, l'ombra, l'erba secca, le pietre dei muri che crollano e la polvere
che respiriamo.” (Gianni Celati “Quattro
novelle sulle apparenze”).
di Ivano Nanni
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